Articolo di Stefano Godenzi, Ingegnere.
Aeroporto internazionale di Managua: è la una della mattina, le porte automatiche degli arrivi si aprono e immediatamente mi travolge. Umida, densa, tropicale, ma soprattutto famigliare! Quest’aria la riconosco, la pelle comincia ad appiccicare, è fantastico.
Sono passati alcuni anni, da quando, nel marzo del 2020, una pandemia mondiale mi costringe ad abbandonare in fretta e furia questo paese. Ma rieccomi, chi l’avrebbe mai detto, sono emozionato.
Sono le due quando arrivo nella piccola e addormenta Diriamba. Non sto più nella pelle, con le prime luci del sole mi lancio per le strade della città. Forti sensazioni mi aspettano quella domenica mattina. Pure i più piccoli frammenti di vita quotidiana nicaraguense che erano andati persi nella mia mente, ritornano a essere più vivi che mai. Sembra che tutto sia rimasto lo stesso… i bigliettai dei bus non hanno smesso si urlare a ripetizione la destinazione dei loro mezzi “Managua, Managua, Managua”, le donne con i loro grembiuli girano sempre per le strade portando grandi ceste piene di cibarie sulla testa, i mercanti sono ancora lì, pronti ad aiutarti chiedendoti cosa stai cercando “què buscas chelito?”, a ogni angolo le colorate piramidi di frutta, i pericolosi e puzzolenti tuk tuk circolano sempre impazziti per la strada, in sottofondo le note di salsa, bachata e cumbia e dal rumore sembrerebbe che pure lo sbattere dei palmi delle mani per fare le tortillas non abbia mai cessato.
Odori e suoni così diversi da quelli di casa e allo stesso tempo cosi famigliari. Rieccomi in Nicaragua.
Il progetto con AMCA sul quale ho collaborato come civilista mi ha portato a conoscere una realtà per me nuova del Nicaragua, ovvero quella rurale, più semplice e lenta dove i ritmi sono ancora scanditi dalla natura. In specifico mi sono occupato del progetto Cosecha de agua, creato nel 2020 da AMCA. Il mio obbiettivo è stato quello di fare un’inchiesta in merito all’andamento del progetto negli ultimi anni. Tramite l’accompagnamento della cooperativa locale COOPAD ho potuto intervistare sul campo i beneficiari, raccogliendo opinioni e dati sul cambiamento della loro vita quotidiana. Questo lavoro è stato molto arricchente, partendo con l’idea di realizzare unicamente un sondaggio tecnico sul tema dell’acqua e delle infrastrutture idriche, mi sono poi confrontato con un tema per me nuovo, quello dell’agricoltura, imparando molto.
Mi ha colpito parlare con alcune persone che non sapessero nulla sul cambiamento climatico. La gente qui accetta la situazione per come arriva, si adatta per sopravvivere, e non tutti si interrogano su cosa stia succedendo, perché ora è diverso e più difficile.
Le famiglie vivono alla giornata e con la famosa mentalità del “si Dios quiere”. Si investe tempo, fatiche e soldi per coltivare qualunque cosa e si confida nella buona sorte, se poi però per un motivo o per l’altro si perde il raccolto è così doveva andare.
È stato bello vedere come queste famiglie fossero pronte ad accogliermi e ben disposte a condividere il loro tempo con me, mostrandomi con grande fierezza e soddisfazione il lavoro eseguito. I serbatoi d’acqua che tramite il progetto vengono realizzati, permettono a una piccola parcella di sopravvivere a questi periodi di siccità anomali. Uno dei benefici finali del progetto è rendere le famiglie meno dipendenti dagli acquisti al mercato, e dalle instabilità climatica degli ultimi anni.
Questa volta lascio il Nicaragua con un grande sentimento di speranza. Sento che questo progetto ha un grande potenziale. Per il momento le persone che ne hanno beneficiato sono ancora relativamente poche ma grazie all’autosostentamento del progetto e al fatto che questi soldi rimangano in circolo finanziando sempre nuove famiglie, ci sono buone opportunità di crescita.
Mi sento privilegiato di aver potuto vivere quest’esperienza e ringrazio di cuore chi l’ha reso possibile.