L’emergenza Covid-19 è ormai presente in tutto il mondo. Il Centro America ha iniziato ad esserne toccato e purtroppo i numeri aumentano ogni giorno di più. Sistemi di salute fragili che faranno una fatica immane ad affrontare la pandemia. AMCA continua saldamente il suo sostegno e consolida la sua presenza, soprattutto in questo momento difficile.
In questi giorni siamo confrontati anche con l’emergenza del rimpatrio dei nostri civilisti e di una nostra cooperante, che presto dovrebbero lasciare il paese. Abbiamo chiesto a Martina, Stefano, Mauro ed Elia di scriverci alcune riflessioni su questi momenti. Una testimonianza di affetto verso il Nicaragua.
Martina (medico, volontariato Ospedale La Mascota, Managua)
“No se vaya!”.
Innumerevoli le volte che mi sono sentita dire queste frase, sia dai colleghi in ospedale sia dai membri della meravigliosa famiglia che mi dava alloggio a Managua. Al sentirla, io sempre precisavo che il mio rientro sarebbe stato alla fine di maggio e che quindi non c’era ancora ragione per disperare. Invece di tempo ce n’è stato meno del previsto. Tutto è successo molto rapidamente, nel giro di pochi giorni le notizie dalla Svizzera e dal Ticino si sono fatte sempre più allarmanti mentre a Managua appena si iniziava a percepire la tensione legata alla pandemia dell’orami arcinoto Covid-19. I paesi confinanti (Costa Rica, Panama, Guatemala, El Salvador) avevano deciso di chiudere le proprie frontiere mentre in Nicaragua ancora si ascoltavano teorie senza fondamento scientifico…”el calor se lo mata al Virus”, oppure ancora “nosotros los latinos somos llenos de muchos virus, parasitos, bacterias y hongos, tal vez se acomode uno màs…”.
Poi è arrivato il primo caso, e poi il secondo, e nella popolazione ho cominciato a percepire una presa di coscienza della possibile gravità della situazione. Alla televisione, alla radio e nei supermercati si ripetevano alla nausea le norme di prevenzione igienico-sanitarie, truppe volontarie del ministero della salute passavano barrio per barrio, casa per casa per sensibilizzare la popolazione (misure che non sono eccezionali qui, se solo pensiamo ad altre epidemie che si sono dovute affrontare in passato come il Dengue o lo Zika).
La differenza fondamentale di questo Virus è che il vettore primario è l’uomo stesso e pensare di attuare le restrizioni che si sono prese in Europa nella società nicaraguense è molto difficile se non impossibile…sarebbe un colpo troppo forte per questo popolo che appena si sta riprendendo dalla crisi politico-economica del 2018. Ritorniamo però alla notizia insperata del nostro rientro anticipato…Martedì 17 marzo veniamo a conoscenza che tutti gli incarichi del Servizio civile all’estero sono interrotti, il giorno successivo si parlerà dell’ obbligo di rientro in patria per i diretti interessati.
Per me, in quanto volontaria, la decisione è invece più difficile. Al limite tra l’egoismo e l’altruismo. Da una parte mi sembra incorretto lasciare il Nicaragua quando la situazione sanitaria potrebbe peggiorare da un momento all’altro; dall’altra ascolto e leggo ciò che sta accadendo in Ticino e desidero poter rientrare per dare una mano li. Inizialmente convinta di rimanere a La Mascota per concludere i due mesi che mi mancano…cambio idea dopo sofferte discussioni con famigliari e amici. Se tutto andrà come previsto si volerà il 29 marzo. Nel frattempo siamo costretti ad un piacevole inizio di quarantena godendo dei sapori, del mare, dei tramonti e delle stelle di questo paese che, anche se per un tempo troppo breve, ci ha saputo dare tanto.
Stefano (ingegnere, servizio civile Centro Barrilete de Colores)
Erano appena trascorse 7 settimane prima che si verificasse quella stana situazione.
In 7 settimane una persona può ambientarsi molto in un nuovo paese. Gli usi, i costumi e la cultura di un paese così lontano cominciano a diventare parte della quotidianità e parte di se stessi. Nel mio caso, lavorando al Centro educative Barrilete de Colores, mi sono ritrovato in un fantastico ambiente di lavoro dove ogni giorno si collabora insieme per garantire il mantenimento e i miglioramento della struttura scolastica.
Le voci a riguardo del virus giravano già da settimane, parenti e amici a casa mi comunicavano giornalmente la situazione in Svizzera, tuttavia si trattava solamente di voci molto lontane, troppo lontana per destare preoccupazioni. Qui le giornate proseguivano regolarmente, scandite da una routine tropicale che sempre più mi affascinava.
Tutto cambiò repentinamente quando quel martedì mattina del 17 Marzo ricevetti la chiamata. “Il servizio civile informava che tutti gli impieghi all’estero erano sospesi all’istante e il Consolato locale mi chiedeva di confermare entro sera l’eventuale intenzione rimpatriato”. In 5 minuti ricevetti informazioni che avrebbero drasticamente cambiato i miei piani per i prossimi 5 mesi della mia vita. La situazione sembrava surreale, non era chiaro se il giorno dopo avrei rivisto i miei collegi al Barrilete de Colores o se invece mi sarei ritrovato a bordo in un aeroplano intento ad attraversare l’atlantico per ritornare a casa. L’unica cosa chiara era che dovevo rientrare in Svizzera con il primo volo possibile, perché cosi era stato ordinato dall’organo del Servizio civile.
Dunque quella giornata che preannunciò come una giornata qualunque si concluse con abbracci di congedo, domande e tanta perplessità da parte di tutti.
Il rimpatrio si rilevò poi meno rapido di quando apparve in quel momento, passeranno diversi giorni prima del rientro in Svizzera. Questo tempo di attesa mi ha fatto riflettere molto sull’imprevedibilità della vita. Sull’ostinazione dell’essere umano a voler pianificare il futuro e mantenere il controllo degli eventi. Da un momento all’altro può capitare che tutti i tuoi programmi vengano ribaltati e ti trovi a dover prendere delle decisioni che mai avresti pensato di dover prendere. Ho la sensazione che con la civilizzazione e le nuove tecnologie, l’essere umano stia perdendo la flessibilità di risposta agli imprevisti della vita. Questa situazione drammatica ha colto alla sprovvista tutto il mondo allo stesso tempo, è un avvenimento che probabilmente non si è mai verificato nella storia dell’essere umano. Sta a ognuno di noi cogliere ora il proprio messaggio e farne tesoro.
Mauro (agricoltore, Servizio civile Diriamba)
Nuovo paese, nuova cultura, nuova lingua, nuove persone… 3 mesi di servizio civile in Nicaragua, un’esperienza unica. Un misto di insegnamento e di apprendimento, di appoggio e di crescita, un vero e proprio intercambio. Mercati colmi di persone e frutti dai mille colori e sapori, per strada macchine e moto ma anche cavalli e carri trainati da buoi. Case semplici, colorate, e i rispettivi abitanti davanti alla porta, gli uni vendendo cibo cucinato in casa, gli altri conversando e guardando i passanti.
Il mio spagnolo, che di principio era solo un’italiana con l’aggiunta di una “s” alla fine delle parole migliora e si arricchisce di giorno in giorno. Conosco sempre più persone, sempre più posti, dalla città alle comunità più imboscate, e mi sento sempre più a casa..
Questo era, fino a lunedì scorso il mio mondo, la mia realtà.
Credo che poi sia arrivato ovunque così, in un giorno tutto diverso. Già si sentivano se notizie da Italia e Svizzera da alcune settimane, eppure anche qui é toccato cascarci prima di realizzare con cosa si ha a che fare. Al posto che una settimana di produzione e lavoro per i progetti sostenuti da AMCA è stata una settimana di “despedida” (congedo) e conclusione. Servizio civile sospeso, ordine di tornare in Svizzera.
AMCA ci ha attivamente appoggiato nella ricerca di opzioni per tornare a casa, che non è cosa facile di questi tempi.. Molti areoporti sono già chiusi, i confini dei paesi vicini pure… Con gli altri volontari e civilisti ci siamo riuniti per passare un’ultima settimana in un posto tranquillo al mare prima del rientro in Svizzera previsto per il 31 Marzo.
In Nicaragua sono da poco più di un mese, non posso immaginarmi concretamente come si possa evolvere un problema come il coronavirus… Per certo, bloccare l’attività delle persone non è del tutto fattibile. Molti lavorano giornalmente per guadagnarsi il pasto della stessa sera, e fermarsi vorrebbe dire non mangiare, a lungo termine, non vivere. C’è molta povertà, specialmente nei luoghi più remoti dove si arriva solo passando per strade sterrate o sentieri. E mi si presenta chiara l’impossibilità di alcune persone di raggiungere strutture sanitarie in breve tempo.
In più, nella mia percezione il Nicaragua al momento è un paese fragile, dopo la grave crisi politica e sociale nell’aprile 2018, con manifestazioni, violenza e guerra civile, il paese e la sua economia sono colati a picco. Le imprese hanno lasciato i loro stabilimenti e il turismo é diminuito molto. Ancora oggi non si é del tutto ripreso. La situazione apparentemente è tranquilla, però si nota parlando con le persone e guardandosi intorno che ci sono differenze di pensiero e tensioni che ancora non hanno trovato compromessi, e che in una situazione difficile potrebbero esplodere.
D’altra parte il Nicaragua è un paese forte nella gestione delle crisi, avendo già lottato con svariate epidemie è possibile che vada incontro a questa del coronavirus più saggiamente. Non appena sono stati confermati i primi casi, la scorsa settimana si é visto un cambiamento nelle persone e negli atteggiamenti. Meno gente per strada, più mascherine, saluti con i gomiti… Nel caso la situazione si aggravi nelle prossime settimane spero che la popolazione possa gestirla e che sia, con tutto il dolore e la sofferenza che porta con sé, un fattore che unisca le persone al posto che dividerle.
Dal mio canto posso solo ringraziare il Nicaragua e AMCA per tutto ciò che in questo corto ma intenso periodo qui ho potuto vedere e imparare.
Elia (pittore, servizio civile Centro Barrilete de Colores)
Dopo poco più della metà della durata del mio servizio civile di tre mesi, devo interromperlo per via dei costanti dolori alla schiena, dovuti a due ernie discali. Ora che faccio? Beh, ho tempo libero, un po’ di soldi, vado a scoprire un po’ il Sud America no?! No. Il covid-19 elimina quest’opzione.
Riceviamo dalla Svizzera l’informazione che tutti i servizi civili all’estero sono interrotti, con obbligo di rimpatrio. All’inizio c’era il dubbio, torno? resto qui? per tutti noi era così. Il giorno dopo non avevamo più tanto da domandarci, dovevamo tornare obbligatoriamente. Martina no, siccome volontaria, alla fine però anche lei ha deciso di tornare a casa.
Tutto è stato così veloce che nemmeno abbiamo fatto in tempo a realizzarlo. I piani di tutti sono crollati, ci si rende conto della fragilità delle aspettative, di come una cosa possa modificare quello che per te significava tutto, e ti accorgi di quanto invece si tratti di nulla.
Il nuovo creatosi gruppetto di quattro ticinesi sulla spiaggia del Pacífico per ora non mi sembra che si sia fatto prendere dal panico, quel che deve succedere succeda, penso che la stiamo vedendo così un po’ tutti. C’è da dire che al momento ci troviamo in una situazione eccezionale per affrontare il tutto, non ci si rende nemmeno conto di quel che sta accadendo nel mondo, chissà più in là come la vivremo, il ritorno (sempre che possiamo tornare) in Svizzera, la quarantena, le domande sul cosa fare ora che tutti i piani sono cambiati. Vamos a ver.
Quella che sembrava essere giusto una delle tante influenze che capitano sempre è diventata qualcosa di un po’ più serio, tutto il mondo vi è dentro, sicuro è un momento di grandi insegnamenti, non solo negativi. É un momento di cambiamento, dobbiamo solo seguire il flusso.