El Salvador: la violenza offusca i reali risultati economici e sociali

da 4 Feb 2016Blog

Intervista con Beat Schmid, di Sergio Ferrari

Con più di 100 omicidi ogni 100’000 abitanti nel 2015, El Salvador è il paese, non in guerra, più violento al mondo. “E’ una realtà che incide su tutta la vita quotidiana e che genera un’elevata tensione a livello sociale. Risolvere questa violenza è forse lo scopo principale del governo attuale del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN)” enfatizza Beat Schmid, acuto analista della dinamica politica e sociale in questo paese centroamericano.

El-salvador-nejapa-02Da venti mesi Beat Schmid, economista svizzero, vive in El Salvador dove collabora con il Governo nazionale in qualità di esperto nell’area di governabilità. Molto prima, tra il 1992 e il 2004, aveva già lavorato in questo paese centroamericano nella sfera della partecipazione cittadina, nella decentralizzazione e ricostruzione a seguito di cataclismi naturali. Il momento attuale è essenziale per il suo periplo di quasi 30 anni attraverso l’America latina. Il suo operato è iniziato dal Nicaragua negli anni ottanta fino all’Uruguay, durante la prima presidenza di Tabaré Vazquez, arrivando a Cuba nel 2005 per coordinare durante 8 anni Oxfam/Canada e mediCuba-Suisse.

Da dove si origina questo fenomeno che sembrerebbe essere fuori il controllo dello stesso Stato?
Si è sviluppato nelle ultime due o tre decadi e ha a che fare con le bande giovanili che si formarono negli Stati Uniti. Fondamentalmente quest’ultime sono composte dai figli di rifugiati salvadoregni che hanno vissuto a Los Angeles e si sono uniti alle bande locali, principalmente formate da messicani. Questi ragazzi facevano parte della popolazione più disagiata e per difendersi, in una società che li rifiutava, si sono organizzati in bande diventando così delinquenti. Alcuni di loro tornarono deportati in El Salvador. Paradossalmente, questi giovano sono emigrati nella prima infanzia come figli di rifugiati e sono tornati nel loro paese trasformati in delinquenti. Ora ci sono due principali bande (maras) che combattono tra di loro e che recano danno a tutta la società.

Si parla di un processo di gestazione iniziato da 2 o 3 decadi. Però chi deve ora affrontare il poblema è il governo del FMLN…
Effettivamente è così. E il problema si è acutizzato dato che né la società né lo stato hanno finora risposto adeguatamente. Le politiche esclusivamente repressive dei governi della destra hanno fallito e per ciò il governo attuale ha impostato un approccio integrale, con enfasi nella prevenzione e nella creazione di opportunità, particolarmente per i giovani. Le maras si sviluppano in quartieri popolari – il 75% della popolazione risiede nelle città – dove la gente vive in condizioni di grande emarginazione, in presenza di strutture famigliari praticamente distrutte dalla scorsa guerra e dove la violenza e la migrazione sono fenomeni molto forti. In questo contesto ci sono giovani che pensano che la vita non vale nulla. I tipici tatuaggi segnano quasi un non ritorno all’integrazione sociale per questa parte di generazione praticamente criminalizzata. Dunque si uniscono, si rinforzano tra di loro e cominciano a sviluppare l’egemonia sociale delle maras, che implica proteggere il proprio settore ed esigere il “pizzo” dai cittadini, accumulando così un potere economico prodotto dall’estorsione. La popolazione cerca di adeguarsi a queste due maras per poter sopravvivere e la presenza dello stato in questi quartieri è debole. Lo scorso anno 60 poliziotti furono uccisi per mano delle maras, che escono per delinquere fuori dai loro territori scontrandosi tra loro. Una specie di guerra tra poveri, che sono effettivamente i più colpiti da questa quotidianità.

Esiste una via d’uscita possibile?
Sarà un processo lungo, che andrà oltre il periodo politico dell’attuale governo. Penso che l’unico modo per risolvere questo dramma sia quello di creare una contro-egemonia sociale. Offrire possibilità specialmente ai giovani e dar loro opportunità di vita. Di 6.4 milioni di abitanti di cui è composta la popolazione totale del paese, c’è un 10%, specialmente giovani, che né studia né lavora. Quasi il 10% della popolazione, d’altro canto, ha una relazione, un contatto o vive in zone con forte presenza delle maras. La prevenzione è una politica costosa e con risultati ottenibili solo nel medio-lungo termine, però la repressione non è l’unica strada, per lo meno è l’ultima e la meno auspicabile. In aggiunta a ciò, questa repressione significa lottare contro ceti sociali bassi, il che è quasi drammatico per questo governo con ideali e proposte progressiste. Le autorità sono impegnate ad adottare queste opzioni alternative, che richiedono un grande investimento sociale e che non porteranno frutti nell’immediato. Tutto ciò in un momento di significative restrizioni economiche e di budget.

E’ esagerato affermare che il futuro del governo e la governabilità sono legati alla risoluzione o meno del tema della violenza?
Oggi ci sono due temi fondamentali. La sicurezza, che è essenziale, e quello del reddito e dell’impiego. La caduta del prezzo del petrolio ed una certa riattivazione del mercato nordamericano generano la percezione che l’economia migliorerà. Quello della sicurezza è più complesso. E’ vero anche che i grandi mezzi di informazione amplificano i fatti creando una percezione sociale sfavorevole. Così la grande sfida governativa diventa anche quella di creare una percezione che questo problema si può risolvere. Nel contempo, molti dei risultati sociali raggiunti restano oscurati. Come i pacchetti scolastici per tutti gli alunni e alunne fino alla maturità, il programma informatico per ogni bambino e bambina, i programmi Casa Mujer, che aiuta migliaia di donne vittime di violenze. E poi ci sono i risultati economici reali: da sei anni vi è l’autosufficienza dei cereali di base; nel 2015 El Salvador è diventato il paese dell’America latina con la maggiore crescita delle esportazioni; vi è una diminuzione concreta della disuguaglianza sociale, essendo oggi il secondo paese più equo dell’America latina; si registra non da ultimo l’espansione della salute e dell’educazione pubblica. In tutti questi ambiti resta ad ogni modo ancora molto da fare.

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